E’ più che mai di attualità l’insegnamento di un grande italiano: Adriano Olivetti (1901-1960), che guidò l’industria di famiglia attraverso successi e prodotti molto innovativi per scrivere e far di calcolo, come la Divisumma 14, lanciata nel 1945: la prima calcolatrice scrivente al mondo in grado di eseguire le quattro operazioni.
Oggi si parla molto di etica nel fare impresa, o di impresa etica. E se ne parla anche in funzione del grande cambiamento che ci attenderebbe con l’affermarsi della cosiddetta Quarta rivoluzione industriale. L’industria 4.0, così viene anche definita, grazie all’automazione spinta, all’Internet delle cose, all’intelligenza artificiale, alle evoluzioni dell’Ict e via dicendo non avrà più bisogno, pare, di 5 milioni di lavoratori nel mondo (così almeno dice il World Economic Forum). Uno scenario che imporrà a molti di mettere in atto dei cambiamenti, nuovi percorsi professionali, formazione, ecc.
Gli imprenditori sono sempre più chiamati a una responsabilità sociale.
L’azienda etica è una comunità, in cui le persone sono capitale autentico che va rivalutato. L’ingegno, la creatività, la centralità del rapporto titolare/dipendente potrebbero essere le chiavi di una competitività umana, che sia da contraltare all’evoluzione meccatronica. Adriano Olivetti sosteneva l’idea di un’economia che fosse prima di tutto motore di civiltà e di sviluppo sociale delle comunità e delle persone. Adriano Olivetti era certamente molto “avanti” per i suoi tempi. Un vero imprenditore illuminato che intendeva l’azienda come generatore di risorse per la comunità.
«Abbiamo portato in tutti i villaggi le nostre armi segrete: i libri, i corsi, le opere dell’ingegno e dell’arte. Noi crediamo nella virtù rivoluzionaria della cultura che dona all’uomo il suo vero potere». (Adriano Olivetti).
L’impresa, per Olivetti, era il cuore di una comunità ideale, in cui etica e produzione si fondevano. Lo stile aziendale olivettiano era innanzitutto basato sulla valorizzazione delle risorse umane e più in generale dei fattori immateriali dell’impresa.
Intervista: Adriano Olivetti, l’attualità di un pensiero
Quella che segue è una mia intervista, risalente al 2013 ma sempre attuale, a un profondo conoscitore del pensiero olivettiano: Mauro Casadio Farolfi, presidente dell’Associazione Città dell’Uomo, fondata nel 2004 proprio per dibattere le molte testimonianze dell’imprenditore Adriano Olivetti.
Casadio Farolfi, qual è l’attualità del pensiero olivettiano?
“Il fecondo rapporto fra azienda e cultura e l’interrelazione tra impresa e sua responsabilità sociale ed etica con il territorio sono temi di un dibattito da alcuni anni avviato in molte imprese private e cooperative. Le imprese cooperative industriali, a partire da quelle presenti nel nostro polo economico possono trovare nel confronto con l’esperienza olivettiana nuovi riferimenti etici, aggiornando quei valori di mutualità e solidarismo che caratterizzarono la loro origine”.
Ma Adriano Olivetti fu un industriale, non un cooperatore.
“Adriano Olivetti fu un grande industriale che intese l’azienda come centro di una comunità che saldasse uomini, lavoro e cultura. Nella visione di Olivetti l’impresa è motore di sviluppo economico e sociale della comunità, è cuore produttivo e centro di diffusione di valori etici per la persona e per la comunità. La sua era una cultura imprenditoriale costruita su forti convinzioni riformiste e solidaristiche, con una forte influenza da parte del padre, socialista di origini ebree, e della madre di fede valdese. Il suo pensiero politico, alimentato sempre da valori di origine spirituali liberi da dogmi, ebbe una pluralità di riferimenti storici e culturali: da Jacques Maritain a Emmanuel Mounier, da Simon Weil ad Altiero Spinelli. Fondamentali nella visione olivettiana furono le esperienze di comunità di Robert Owen e il pensiero di Lewis Mumfod, precursore del federalismo”.
Ma come fece ad applicare la sua “utopia concreta”?
“La principale aspirazione di Adriano Olivetti fu di sperimentare il connubio tra etica e produzione, di coniugare modernizzazione e umanesimo. Per giungervi fondò un modello industriale che al lavoro affiancò servizi socio-assistenziali e il varo di una rivista e di un movimento politico fregiati dell’identico nome “comunità”. Una “comunità concreta”, ossia un raggruppamento di forze sociali, individualizzato storicamente, geograficamente ed economicamente, che fosse in grado di soddisfare con la propria azione collettiva i bisogni essenziali dell’uomo: il lavoro, l’abitato, la cultura, il tempo libero, l’ambiente. L’esperienza di Olivetti ebbe anche un altro enorme merito: mirò a valorizzare le competenze culturali dei tanti storici, sociologi, urbanisti ed esperti del design che trovarono nell’azienda una sorta di fucina in cui forgiare le proprie idee e, grazie all’apporto delle menti più evolute nei rispettivi ambiti, una vera agorà utile all’impresa e alla società per un rinnovamento quotidiano. Attorno ad Adriano Olivetti crebbe in tal modo un’intera generazione di uomini che hanno in seguito caratterizzato fortemente il terreno culturale dell’Italia repubblicana, una generazione tutt’oggi molto attiva che ha tramandato alle generazioni successive gli ideali di quell’esperienza”.
Dunque un’alternativa ai modelli dominanti?
“L’impianto ideologico che sorreggeva il progetto di Adriano Olivetti era quello di fondare una “terza via” tra liberalismo e socialismo di stato. Questa “terza via” mirava a conservare le linfe migliori dei modelli economici già sperimentati, a preservare dunque sia il liberalismo e sia il socialismo, coniugandoli in uno stampo aziendale dove al centro ci fosse l’uomo. Per Olivetti il capitalismo basato su un liberismo senza regole era ‘cieco’, per cui pensò che fosse necessario far convivere nella società capitalismo d’impresa, socialismo fabiano e democrazia partecipata. L’ideazione di quel percorso e la sua attuazione pratica sono movimenti di squisita natura “politica”. L’idea olivettiana fu idea politica nel senso pieno del termine, rivolta cioè alla “polis”, alla “comunità”, cui egli intendeva fornire un centro forte: l’azienda”.
Lei è di Imola, culla del mondo cooperativo. Fra cooperazione moderna ed etica c’è ancora una relazione?
“L’origine del movimento cooperativo industriale imolese fu caratterizzata dalla forte influenza politica e culturale di Andrea Costa e quindi del pensiero socialista, cui si affiancarono influenze di uomini con impronta politica liberale e cattolica che avviarono cooperative in vari settori e fecero del polo cooperativo imolese un unicum per pluralità d’esperienze. Centrale per una riflessione su quest’aspetto di mescolanza di cultura politica è la collocazione del polo imolese in un modello economico e sociale, quello dell’Emilia Romagna, dove da oltre un secolo uomini e idee si sono fatti portatori di un processo di governo riformatore di impronta cattolica, liberale, socialista. La storia dell’economia della nostra regione ha suscitato l’interesse di molti studiosi europei ed anche di premi Nobel per l’economia, come l’americano Joseph Stiglitz e il Amartya Sen. La ricerca e l’innovazione delle imprese cooperative devono andare di pari passo con la cultura della cooperazione, aggiornata e calata nelle esigenze e nelle sfide attuali, mantenendo l’impegno anche sugli aspetti dell’etica e dei valori base fondanti. La cooperazione nazionale può rappresentare una valida proposta imprenditoriale con una missione basata sul principio di partecipazione del lavoratore alla conduzione dell’impresa, capace nello stesso tempo di competere sui mercati mondiali”.
Etica e competitività possono coesistere?
“Al centro del pensiero economico e sociale di Adriano Olivetti c’è un’etica di impresa che non mira solamente al profitto, ma rispetta il legame profondo con la società civile. Al fianco di una buona redditività deve esserci, per qualsiasi impresa, una vocazione umanistica del lavoro, che non si esprime solamente in un taylorismo dal volto umano ma in una concezione più ampia. Era evidente in Olivetti l’aspirazione a un’impresa etica che per rafforzarsi ed espandersi necessitava di un coinvolgimento più ampio del sistema economico, sociale e anche politico sull’intero territorio nazionale. L’impianto del pensiero olivettiano si basa su alcuni pilastri forti e fra loro conseguenti: la persona, la comunità, l’impresa socialmente responsabile e non ultimo il federalismo. In Adriano Olivetti non c’era alcun desiderio di un ritorno a una visione romantica della comunità, bensì la costruzione di una comunità aperta, moderna rivolta prevalentemente al futuro. C’era in lui una forte attenzione per la ricerca di un modello aziendale partecipativo, non antagonista, dove i lavoratori a tutti i livelli devono avere un ruolo nei processi decisionali”.
In che modo ciò si potrebbe fare, oggi?
“Parlando ancora di cooperative, occorre valorizzare la crescita culturale e professionale del management e più in generale delle modalità di selezione della classe dirigente cooperativa, occorre rendere condivisi e compartecipati dai singoli lavoratori i comportamenti etici dell’impresa cooperativa, nel rispetto della persona. Occorre trasferire nelle persone quelle “tracce di comunità” presenti nelle cooperative affinché siano consapevoli e protagonisti di un processo collettivo di trasformazione dell’economia, soggetti attivi per una comunità concreta. Il dibattito sulla cooperazione e le sue prospettive non può prescindere da alcuni nuovi interrogativi per estendersi al di fuori dei distretti storici, come quello imolese, per proporsi come modello economico e sociale valido in tantissimi comparti imprenditoriali e affiancarsi con proprie modalità alle imprese private e pubbliche”.
Imprese private e imprese cooperative?
“Una cooperazione di tipo nuovo e un capitalismo di stampo etico devono insieme affrontare le sfide del futuro assumendo processi di innovazione e modernizzazione anche nei rispettivi processi di ‘governance’, di codici aziendali spesso superati, utilizzando, però, tutti i nuovi strumenti che il mercato mette a disposizione. Tra questi l’accesso in borsa anche per alcune cooperative, attraverso forme societarie che possono essere quotate, ma pur sempre gestite con l’obiettivo finale di perseguire i propri fini sociali e mutualistici. La trasformazione del capitalismo da industriale a finanziario, sempre più accentuato negli ultimi decenni, fu una delle cause, insieme alla improvvisa morte a soli 59 anni di Adriano, del declino della Olivetti e rappresenta tuttora una sfida e nel contempo un’opportunità per le imprese private e cooperative in continua evoluzione verso un capitalismo finanziario sempre più aggressivo e senza regole. La finanziarizzazione dei mercati va affermando la preminenza dell’economia speculativa su quella produttiva e sociale e ciò richiede che tutti noi adottiamo un nuovo paradigma di lettura, compiendo ulteriori riflessioni sul capitalismo ‘senza volto e nomade’ e su quali misure fiscali siano possibili senza attivare semplicistiche quanto impossibili barriere di protezionismo”.
© Massimo Max Calvi 2013 – © Associazione Città dell’Uomo www.cittadelluomo.net (intervista pubblicata sul sito dell’associazione).
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