L’alluvione del 2023 in Emilia-Romagna, la mia regione, ha lasciato dietro di sé un paesaggio desolato, con case distrutte, strade divelte, frane, coltivazioni soffocate, campi resi sterili per chissà quanto tempo, opere d’arte cancellate, animali annegati. Ma soprattutto una ventina di persone morte. L’acqua ha travolto il mondo seguendo dislivelli e rotte bizzarre. Quartieri con un metro e mezzo di liquido fangoso e liquami, mentre a poche strade di distanza era tutto a posto. Per fortuna l’intervento dell’Esercito, della Marina, dei Vigili del Fuoco, della Protezione civile di mezza Italia e la generosità di tante persone ha contenuto le acque impedendo un bilancio ancor più grave. A Ravenna il grande cuore cooperativo della Cab Terra ha salvato la città, i suoi tesori e diversi quartieri molto popolati.
Qualche giorno dopo il disastro sono andato a Faenza, per un impegno di lavoro, in una zona non colpita dall’alluvione, alle porte della città. Tutto sembrava normale, tranne gli sguardi della gente. Al ritorno ho percorso la via Emilia. Il parcheggio della storica discoteca Le Cupole sembrava esploso da sotto, strappato, sbriciolato. A Castel Bolognese mi è venuto il magone. Macerie, fango, cataste di arredamenti, elettrodomestici, giocattoli, scooter. Tutto da buttare. A ripassare oggi non si direbbe. O quasi.
L’alluvione sui Social è stato trending topic per settimane: appelli, numeri di conto corrente, foto dal disastro. Mille testi celebrativi dell’orgoglio romagnolo, dell’unicità di essere in Emilia Romagna. Molti contenuti ripresi dal terremoto del 2012 e adattati alla nuova situazione. Stucchevoli luoghi comuni su presunte doti speciali della mia regione e di chi ci è nato.
Ma noi emiliano-romagnoli non siamo diversi dagli altri
Non siamo meglio dei friulani, o degli abruzzesi, dei marchigiani, degli umbri, dei sardi e dei siciliani, dei piemontesi o degli abitanti di altre regioni. È però vero che gli stabilimenti balneari della Riviera romagnola in due giorni erano di nuovo in ordine, nessuna traccia dei danni della grande mareggiata che ha ricacciato indietro le piene dei fiumi. A suggellare la performance è arrivato un grande cuore “disegnato” con i lettini per una foto aerea che è diventata virale. Anche i due ragazzi che si baciano nel fango sono diventati un simbolo della voglia di vivere romagnola, però quella foto è stata scattata dopo l’alluvione delle Marche, nel 2022.
Una narrazione emozionale, una spinta all’orgoglio di appartenere a cui si sono conformati tutti
Ci sta, è di aiuto nel momento acuto della crisi. Ma poi bisogna anche cercare di capire cosa è successo e se c’era qualcosa che poteva impedire, o mitigare, i danni più gravi. Certo che 23 fiumi che straripano contemporaneamente a una burrasca non sono una barzelletta. Ma non sono nemmeno solo una fatalità. Sono emiliano e devo ammettere di vivere in una regione in cui il consumo di suolo è notevole. Tanto cemento, asfalto, migliaia di capannoni, grandi centri commerciali sorti fra gli Appennini argillosi e la pianura padana (alluvionale). Non posso dimenticare che le dune naturali di gran parte della Riviera romagnola sono state spianate per far posto all’industria del turismo. E che qualche cassa di espansione in più poteva essere utile. Sul tema di cosa è stato fatto o non fatto si sono moltiplicati i sedicenti esperti e le false informazioni. Io, che esperto non sono, non la sto a fare lunga: a spiegarla bene ci ha pensato il WWF, lo potete leggere da voi.
In Emilia Romagna non siamo così belli come le filastrocche e i video emozionali ci raccontano
Sicuramente in Emilia-Romagna non ci sono i livelli di abusivismo edilizio di altre zone del Paese, ma sull’ambiente abbiamo sbagliato anche noi. Il modello di sviluppo di cui siamo stati tanto fieri oggi andrebbe ridefinito, con serenità e senza faziosità. Sono cresciuto in un territorio dove gli ambientalisti sono stati offesi per molto tempo. Li ho sentiti denigrare dalla lobby dei cacciatori, dalla categoria degli edili, dagli industriali, dagli agricoltori, dai bagnini della Riviera e dai politici di ogni colore. Negli anni Novanta dalle mie parti dire “i verdi” con tono sprezzante era un gergo diffuso negli ambienti del business, della politica e nei bar.
L’Emilia-Romagna ha una lunga storia di capolavori in quasi tutti i campi e sì, anche io penso che in fin dei conti siamo ancora uno dei luoghi meglio amministrati del Paese, e che il modo che abbiamo di intendere la società ci renda per molti versi un esempio. Ma oltre a questo orgoglio collettivo, così ben celebrato e soprattutto autocelebrato, permane lo snobismo di considerarci isola felice. Come se non fossimo anche noi parte delle dinamiche sociali e ambientali globali.
Si dice che nelle tragedie le comunità facciano emergere il meglio degli individui. Non è del tutto vero. Basti pensare alla Pandemia dove, anche in Emilia-Romagna, siamo passati all’amore per il personale medico alle aggressioni e alle minacce, al vandalismo nei pronto soccorso e contro le vetture dei sanitari durante i turni di notte. Nel tempo siamo passati dalla commozione alle rabbiose paranoie complottiste. Non è andato tutto bene. A me pare che nelle situazioni critiche venga amplificato ciò che l’individuo è veramente. O meglio, ciò che ha appreso nel corso della sua esistenza dagli esempi che ha ricevuto e dall’ambiente in cui vive. Anche in questo frangente non tutto è stato edificante.
I giovani
Tanti giovani, in tantissimi sono accorsi a dare aiuto. Le cinture nere della politica e della pubblica opinione li criticano sempre: se partecipano a un rave, se non accettano un lavoro con una paga miserabile da un pessimo datore di lavoro, se prendono il reddito di cittadinanza, se si ubriacano in piazza Verdi, se protestano per salvare il loro pianeta… sì, il pianeta è di chi verrà dopo. I nativi americani dicevano che la terra la prendiamo a prestito dai nostri posteri.
I giornalisti
Pochi sono andati oltre le banalità. Qualcuno si è fatto prendere dall’enfasi e dalla sindrome dell’inviato speciale, altri hanno fatto delle passeggiate con il bastone da selfie e le hanno addirittura chiamate reportage. Ma qualcuno, specialmente nei media locali, il suo mestiere l’ha fatto, si è sporcato sul pezzo e ha mostrato punti di vista non sempre allineati con il mainstream. Uno di questi è l’autore delle immagini che vedrete più sotto, proseguendo la lettura.
Le piccole imprese
Quelle che hanno potuto hanno messo a disposizione mezzi, mano d’opera, servizi, lavoro senza sosta. Hanno aperto capannoni e locali asciutti, per far spazio alle brande per gli sfollati. Sono arrivati convogli di foraggio, macchine movimento terra, bagni chimici, muratori, mezzi per lo spurgo, tecnici per salvare dall’acqua i dati contenuti nei server, o per riparare gratuitamente macchine e trattori sommersi di fango. Una banca locale, allagata, ha addirittura aperto una filiale in un un container.
Le industrie
Donazioni a pioggia, a 6, 7, 8 zeri. Sempre accompagnate dall’immancabile comunicato stampa. Quando ero bambino andavo al catechismo, la suora ci insegnò che la carità si fa ma non si dice, perché le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Qualcuno che ha donato in silenzio ci sarà, lo spero e lo applaudo per aver resistito a mettersi in mostra.
I politici
Le parate nelle disgrazie in favore dei media non mi sono mai piaciute. La politica vorrei che fosse un’altra cosa.
Gli immigrati
A spalare il fango e a ripulire stalle e officine c’erano anche loro, a cercare di salvare vite e cose c’erano anche loro. Ma nella retorica ufficiale e nella stragrande maggioranza dei media sono stati ignorati. Esclusi anche in questo. Eppure molti di essi, che hanno lasciato tutto alle spalle per cercare una vita migliore, hanno affrontando il disastro insieme alle loro comunità. Il fango copre tutti e rende tutti grigi. Spero che questa esperienza serva almeno a incrinare il muro del razzismo.
L’alluvione del 2023 ci ha ricordato che il cambiamento climatico è reale e che dobbiamo assumerci le nostre responsabilità.
Ancora oggi e nonostante le evidenze sento persone adulte dubitare che questo cambiamento sia responsabilità dell’uomo. La deforestazione, gli allevamenti intensivi da cui proviene il cibo di origine animale che acquistiamo al supermercato, l’inquinamento, l’urbanizzazione eccessiva o scriteriata, il predominio delle auto rispetto ai mezzi pubblici, le strade a due, tre, quattro corsie invece delle rotaie.
Le migliaia di quotidiani spostamenti inutili nel traffico per svolgere lavori o riunioni che si potrebbero eseguire da remoto per risparmiare emissioni, anche queste sono fra le cause del surriscaldamento del pianeta e dei disastri ecologici e umanitari del nostro tempo.
Negarlo significa essere egoisti, o completamente fuori dalla realtà.
Più il mare si scalda più l’acqua evapora, e poi si condensa e cade. Più pioggia in poco tempo, più fiumi gonfi, più frane. Dall’altro estremo c’è la desertificazione che avanza spingendo popoli a migrare. Più l’acqua sarà preziosa più moriranno persone. I ragazzi incazzati andrebbero anche ascoltati, non solo bollati come criminali imbratta muri.
Le acque mefitiche che sono ristagnate per giorni ci hanno mostrato una fragilità che non pensavamo di avere, nemmeno durante la pandemia, quando cantavamo dai balconi. Questa tragedia umana, ambientale ed economica ci potrà forse insegnare che dobbiamo essere uniti e inclusivi. Un giorno tutti saremo morti e lasciare ai posteri asfalto, cemento, acciaio, posti di lavoro incerti in balia degli eventi economici o ambientali non ha alcuna utilità per la nostra specie.
Abbiamo sbagliato, ho sbagliato. Ammetterlo è il primo passo del cambiamento
Quello che serve all’Umanità è un ambiente sano in cui vivere. E una cultura dell’amore e della non violenza, in cui la parola “competizione” resti solo faccenda sportiva e non un pretesto per schiacciare le altre persone rincorrendo brame di potere e di ricchezza. Se non dedicheremo le nostre energie a questo cambiamento saremo come dinosauri.
Questa tragedia ci insegna l’importanza del restare uniti sempre e per davvero, non solo quando c’è bisogno di fare un reel su Instagram. Dobbiamo guardare oltre le differenze culturali e abbracciare la diversità come un punto di forza. E cominciare a capire che il clima non ha confini e cittadinanza. Solo allora potremo affrontare i cambiamenti climatici e le minacce geopolitiche con quella resilienza di cui ci siamo tanto riempiti la bocca durante il lockdown.
Massimo Calvi ®2023
Immagini di Mauro Monti MMPH
PHOTO mauro monti/MMPH info@mauromonti.com
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