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Perché l’AI è la salvezza del giornalismo

5 Mar 2025 | Opinioni

AI Salvezza del giornalismo

Il mondo del giornalismo sta attraversando una fase di profonda trasformazione. Le strutture editoriali tradizionali faticano ad adattarsi a un contesto in rapida evoluzione, in cui il ruolo del giornalista richiede competenze e strumenti diversi rispetto al passato.

Le strutture editoriali italiane, specialmente quelle della carta stampata, faticano a trovare un impulso e sembrano in affanno nel trattenere l’emorragia di lettori, plasticamente raffigurata dalla triste estinzione delle edicole.

Le loro stesse concessionarie pubblicitarie non sanno cosa vendere, inventandosi improbabili servizi di visibilità online e ponendosi come facilitatori tra l’investitore e la redazione.

E i giornalisti?

Il giornalismo di oggi non può prescindere dall’acquisizione di nuove competenze, specialmente in ambito scientifico e tecnologico, per saper leggere, interpretare e analizzare le trasformazioni che incidono sulla vita quotidiana di ciascuno di noi.

Questo significa studiare senza sosta e ricomiciare daccapo, perché quando un giornalista ha di fronte un guru tecnologico, un tecnocrate, un politico che riempie di aria fritta e termini di moda ogni suo discorso, ha il dovere di fare domande che aiutino la gente a capire e decidere.

E per fare domande serve comprendere, più di un po’, cosa si sta dicendo. “So di non sapere” nel giornalismo non vale, oggi più che mai.

Studiare senza sosta significa guardare alla “prossima cosa” con curiosità e muoversi verso di essa senza pregiudizi, con l’ostinazione di capire e analizzare i risvolti. L’alternativa, è l’antigiornalismo, cioè trovarsi a essere il megafono delle eccitazioni del momento o andare passivamente al traino di “bolle” mediatiche, contribuendo ad alimentarle.

Se il mondo “beve” le risposte delle AI, il giornalista ha gli strumenti per verificarne l’attendibilità e intercettare le cosiddette “allucinazioni”.

E aggiungo: ha il dovere di spiegare e insegnare ai giovani, così come ai “boomer”, quali sono questi abbagli, come si generano e perché spesso ci fidiamo di informazioni false.

In questo scenario, la verifica delle informazioni e delle fonti rappresenta più che mai il fondamento essenziale del giornalismo. Questo è l’esercizio di un dovere che si traduce nel diritto della società di avere un’informazione il più possibile corretta e verificata.

Tagli, stipendi e ricatti: è il precariato a spegnere il giornalismo

E qui torniamo alle imprese editoriali. I tagli alle redazioni, l’aumento della precarizzazione e le retribuzioni irrisorie offerte ai freelance e ai giovani giornalisti stanno, ormai da molti anni, progressivamente minando le fondamenta della libertà di informare. L’AI in questo senso è un comodo capro espiatorio.

La pressione sui tempi di produzione costringe sempre più spesso a privilegiare la rapidità rispetto all’accuratezza, portando molti professionisti (non tutti, sia chiaro) a utilizzare le informazioni contenute nei materiali diffusi dagli uffici marketing, senza un’adeguata verifica critica. Questa tendenza, oltre a compromettere la qualità dell’informazione, apre la strada a una comunicazione sempre più guidata da interessi commerciali e priva di qualsiasi considerazione etica e deontologica.

La Media Education è fondamentale. Ecco un altro assist

Oggi, chi sviluppa gli strumenti dell’informazione (pensiamo alle AI o agli algoritmi social) ne determina anche le regole, con buona pace dell’Unione Europea. Per questo diventa fondamentale la Media Education, un approccio alle informazioni fatto di capacità di analisi. È lo strumento di difesa dalla pervasività di narrazioni che viaggiano nelle “psicoteconologie” secondo modalità appositamente strutturate per orientare il pensiero.

Ecco un altro assist: nell’epoca che stiamo attraversando la figura del giornalista, a mio avviso, assume anche un fine educativo.

Il professionista del giornalismo, osservante delle regole deontologiche della professione, è chiamato a fare debunking (confutare affermazioni false o distorte sulla base della ricerca di dati e informazioni affidabili). E lo fa anche quando si trova al bar o pubblica su TikTok. Una figura scomoda perché dà il buon esempio, in ogni post che pubblica per sé o per gli altri. E perché rompe i flussi di fake news.

Fare comunicazione per conto terzi? Si deve fare in modo etico

E se lavora in un ufficio stampa o in una struttura che pubblica direttamente contenuti corporate il giornalista deve saper arginare quelle richieste poco etiche della committenza o del marketing, riportando l’informazione all’interno di un perimetro etico e deontologico.

Nel lavoro di produzione di contenuti che il mio team svolge per i clienti di Rizomedia, vi è sempre una particolare attenzione alla tutela dell’etica giornalistica.

È facile? No. Non lo è. E non è neppure comodo, a volte si va in collisione. Ma le strutture giornalistiche, quelle serie, non giocano nello stesso campionato delle agenzie di marketing né in quello della propaganda politica. L’obiettivo resta quello di garantire che la comunicazione rimanga all’interno di un perimetro di correttezza deontologica. Questo, non mi stancherò mai di dirlo, va anche a vantaggio del committente, perché una comunicazione etica e di qualità valorizza sempre il brand.

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