È stimolante la decisione del Liceo Classico “Minghetti” di Bologna di aggiungere un’ora settimanale di italiano per gli studenti del biennio. Il dirigente scolastico, Roberto Gallingani, ha rivelato come le competenze di base, come la scrittura e la comprensione dei testi, siano insufficienti tra gli studenti.
Nello stesso periodo in cui si diffondeva questa notizia, l’ultimo rapporto del Censis ha mostrato che una percentuale significativa di italiani tra i 16 e i 65 anni fatica a comprendere i testi scritti. Queste due informazioni dovrebbero spingerci a ripensare radicalmente il nostro approccio all’educazione. A cominciare dalla scuola: com’è possibile che arrivino alle superiori ragazzi che hanno problemi a scrivere e a leggere?
Non siamo radicalchic se ci viene l’orticaria a leggere certi post o messaggi
Certo, se arrivano alle superiori dei ragazzi analfabeti funzionali sarà anche un po’ responsabilità degli adulti in famiglia che, per pigrizia o per impoverimento linguistico, non danno un buon esempio. O no?
Tutti noi avremo visto, sui social e nelle chat, dei “grandi” scrivere come dei veri “somari”, senza punteggiatura, con le acca messe a caso, con coniugazioni ostrogote e via dicendo. Gli adulti sono dei modelli per i bambini: qualche volta sarebbe meglio spegnere “uomini e donne” e i vari “reality” per “accendere” un libro. E magari anche commentarlo in famiglia.
Sarò un nostalgico a difendere la nostra lingua, cioè un forte simbolo identitario della nazione? Può darsi, ma qui non è solo una questione di essere puristi o dei “radicalchic”, come direbbero certi soggetti che lisciano il pelo all’ignoranza. È noto e dimostrato che la lingua sostiene l’intelligenza e la qualità del pensiero. È per questo che dobbiamo applaudire il preside Gallingani.
Forse un’ora in più di italiano a settimana non sarà sufficiente, ma rappresenta certamente un segnale notevole. Se un importante e storico liceo rileva la gravità di questo problema, temo che nelle scuole tecniche e professionali la situazione possa essere ancora più critica. Non possiamo ignorare questo campanello d’allarme.
E che ne pensate di smettere di lasciare soli i bambini davanti a uno schermo?
E qui aggiungiamo un tassello, ben sapendo che potrebbe essere oggetto di polemiche e strumentalizzazioni: il cellulare e il tablet. A scanso di equivoci: io non sono d’accordo con i divieti del ministro Valditara. E non è questo il punto. Il punto sta fra le pareti di casa, e non parliamo di liceali, ma di bambini. Sarebbe opportuno promuovere una maggiore consapevolezza nelle famiglie, affinché gestiscano con raziocinio i tempi e i modi di utilizzo dei cellulari da parte dei più piccoli.
Per molti adulti, esausti dalle fatiche quotidiane, questi device rappresentano una “salvezza” per tranquillizzare i bambini. Ma se le tecnologie vengono utilizzate senza comprenderne i risvolti, potrebbero interferire con un corretto sviluppo cognitivo e linguistico. Non a caso fior di autori le chiamano “psico-tecnologie”.
Dite qualche “No”. E state nella relazione!
I genitori e i nonni dovrebbero recuperare appieno il loro ruolo educativo, resistere alle tecno-tentazioni (inclusa la tv) e sostenere l’acquisizione di un corretto linguaggio, offrendo interazione, presenza e dicendo anche dei sani “No”.
Gli adulti possono dare un bell’esempio spegnendo il loro device (almeno per un po’) e stimolando i bambini in attività dedicate all’apprendimento, o selezionare accuratamente le attività da svolgere con lo smartphone o il tablet. Ebbene sì, esistono molti modi educativi di impiegare la tecnologia Mobile, anche a scuola (per questo non sono d’accordo con il ministro). Va però detto che per fare ciò serve un po’ di media education, perché troppo spesso anche gli adulti sono inconsapevoli vittime degli algoritmi, del marketing malefico e della pervasività delle tecnologie.
Si tratta, in definitiva, di svolgere un ruolo attivo di scaffolding, guidando e supportando i bambini nel loro processo di apprendimento, come suggeriva Vygotskij. Anche Piaget, come noto, sottolineava l’importanza del coinvolgimento attivo degli adulti per il corretto sviluppo cognitivo dei bambini.
Un compito che, appunto, spetta agli adulti. Non agli smartphone o a TikTok.
Massimo Calvi
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